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15.04.2009
Nella fauna ittica del Mare Nostrum concentrazioni di metallo superiori a quelle dell’Atlantico. Che pure è più inquinato. Pirrone (Iia-Cnr): «Colpa dell’uomo e delle sue discariche, ma anche del cinabro presente nei fondali»
Pur vivendo in un ambiente marino tra i meno inquinati dal mercurio i pesci del Mediterraneo presentano preoccupanti livelli di accumulo di questo metallo. L’anomalia, che emerge in particolare nella comparazione con la fauna ittica atlantica, è stata oggetto di uno studio di Nicola Pirrone, direttore dell’istituto sull’Inquinamento atmosferico del Consiglio nazionale delle ricerche (Iia-Cnr), i cui risultati saranno pubblicati a maggio sulla rivista scientifica Limnology and Oceanography.
«L’intento della ricerca – spiega Pirrone – è stato quello di capire in che modo il mercurio si accumula nei pesci e in che misura, riducendo le emissioni, viene intaccato questo meccanismo». Dalle analisi è emerso che gran parte del mercurio che si trova nel Mare Nostrum proviene dall’atmosfera, più che dalle precipitazioni, ed è ovviamente prodotto dall’uomo. Le principali fonti sarebbero le discariche, tramite le quali si inquinano le falde acquifere, e le emissioni delle centrali termoelettriche a carbone, degli inceneritori, nonché delle acciaierie e delle industrie produttrici di vari metalli.
In sostanza, quando il mercurio arriva nel mare, una parte si sedimenta, una seconda quota resta disciolta, una terza si accumula nei pesci e una quarta porzione torna nell’aria. Ad aggravare la situazione per la fauna ittica del Mediterraneo sono i cambiamenti climatici che influenzano in modo determinante i tempi di residenza in atmosfera del mercurio. La forte irradiazione solare, le elevate concentrazioni di ozono e di particolato atmosferico creano una “miscela” che provoca la formazione di mercurio reattivo, ossia più facilmente trasferibile dall’atmosfera alle acque marine superficiali.
Una tesi, questa, che Pirrone aveva illustrato già nel 2005 in occasione della presentazione del volume di cui è stato curatore Dynamics of mercury pollution on regional and global scales – Atmospheric processes and human exposures around the world (Springer Verlag). Ma un ruolo in questa storia è da assegnare anche al mercurio presente in natura. Lungo i fondali di tutto il Mediterraneo corre infatti un giacimento di cinabro, minerale ricco del metallo incriminato. Non a caso un altro obiettivo delle analisi effettuate dalla nave laboratorio Urania del Cnr è stato quello di verificare quanto mercurio deriva da questi giacimenti e quanto è quello di origine antropica.
Già, l’uomo. Principale artefice della dispersione di questo veleno, è anche vittima della conseguenze al pari dei pesci. Problemi al sistema nervoso centrale, con alterazioni motorie e neuronali, problemi renali, cardiovascolari, insorgenza di forme cancerose, soprattutto al sistema immunitario: sono questi i principali rischi che corre chi è esposto ad alte concentrazioni di mercurio. E quali sono a livello mondiale le zone più pericolose? «I dati sull’inquinamento atmosferico in Europa non preoccupano quanto quelli di alcune regioni della Cina o del Vietnam», osserva Pirrone.
È qui che il mercurio si trova in miniere a cielo aperto ed è qui che viene usato come amalgama per l’estrazione dell’oro. Secondo studi del 2005, riportati nel libro curato dal ricercatore dell’Iia Cnr, su scala globale ogni anno vengono rilasciate in atmosfera circa 4.500 tonnellate di mercurio, di cui 2.250 derivanti da attività industriali e il resto da sorgenti naturali. In definitiva sono i Paesi asiatici, che contribuiscono per il 40 per cento delle emissioni mondiali, a determinare l’impatto più evidente sulla catena alimentare. Ciò non toglie che anche dalle nostre parti per evitare rischi alla salute è preferibile consumare pesci di piccola taglia. Nella fauna ittica di grandi dimensioni, infatti, l’accumulo di mercurio può risultare pericolosamente tossico.

Federico Tulli


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